Il Laboratorio di Ecologia all'aperto Agogna Morta



Caratteristiche generali
Dove si trova: Nei comuni di Borgolavezzaro (NO) e di Nicorvo (PV)
Coordinate: Lat. 45°17'59.19 - Long. 8°39'35.88
Estensione: 10 ettari
Anno di avvio: 1991
Proprietà: Federazione Nazionale Pro Natura, Burchvif, Privata
Tipo di tutela: Piano Regolatore Generale del Comune di Borgolavezzaro;Oasi di protezione ai sensi della L. R. del Piemonte 4 settembre 1996, n. 70; Fondo Chiuso ai sensi della L. R. della Lombardia 16/08/1993, n. 26; Sito di Importanza Comunitaria IT1150005.


In breve
Il Laboratorio di Ecologia all'aperto Agogna Morta è un’area di circa dieci ettari all’interno ed a cornice di un meandro, non più attivo, del torrente Agogna. Il meandro fu isolato dal corso attivo del torrente, in seguito ad opere di raddrizzamento dell’alveo realizzate intorno alla metà degli anni cinquanta. Il bosco planiziale che ora caratterizza l’intera area, è stato ricostruito, a decorrere dal 1991, traendo ispirazione dai boschi esistenti nelle vicinanze: il Bosco di Cusago (MI), il Bosco di Agognate (NO) ed i boschi del Parco del Ticino piemontese e lombardo. La vegetazione arborea è costituita da Farnia (Quercus robur), Carpino bianco (Carpinus betulus), Acero (Acer campestre), Pioppo bianco (Populus alba) mentre, lungo le rive e nelle bassure, vi è la dominanza dell’Ontano nero (Alnus glutinosa) e del Salice bianco (Salix alba). Tra gli arbusti sono stati messi a dimora il Biancospino (Crataegus monogyna) che è la specie più abbondante; seguono, poi, Prugnoli (Prunus spinosa), Sanguinelli (Cornus sanguinea), Noccioli (Corylus avellana) ed in numero minore, Berrette da prete (Euonimus europaeus), Rose canine (Rosa canina), Frangole (Frangula alnus), Palloni di maggio (Viburnum opulus), Sambuchi (Sambucus nigra). La vegetazione che caratterizza la lanca vera e propria è costituita dal Nannufaro (Nuphar luteum), cannuccia di palude (Phragmites australis) preziosi sia per il Tarabuso (Botaurus stellaris), il Tarabusino (Ixobrychus minutus) ed il Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus).


La lanca - © Alberto Giè

  
La parte terminale della lanca - © Alberto Giè


Fioritura di pervinca ( Vinca minor ) nel bosco - © Alberto Giè

  
La grande quercia che cresce a lato della lanca - © Alberto Giè






Le aree umide
Le aree umide sono zone, porzioni di territorio, in cui l’acqua gioca un ruolo fondamentale sia ai fini paesaggistici sia come fattore di vita. L’acqua è elemento tanto importante in relazione alla vita per cui si può affermare che quanto più una terra è ricca d’acqua tanto più ospita intensità di vita naturale. Anche l’antico pregiudizio che considerava le acque ferme e stagnanti come luogo malsano ed in contrasto con un’economia produttiva è stato ampiamente superato ed anzi norme specifiche a tutela di questi ambienti sono state assunte a livello europeo e nazionale.
Le zone umide rivestono un ruolo importante per la loro valenza ecologica, per l’azione di contenimento delle piene e di ravvenamento delle falde acquifere, per la loro capacità di fitodepurazione delle acque, per la loro produttività ittica.
Non va poi dimenticato il ruolo paesaggistico: il fascino che emana dai loro ambienti instabili, dai canneti fruscianti, dagli specchi d’acqua immobili, dalla gran quantità di vita animale che vi è ospitata. Un mondo solitario e selvaggio che merita di essere conservato e custodito.


Il Torrente Agogna
Il torrente Agogna nasce dalle pendici dell’Alpe della Volpe, nel Comune di Armeno, in provincia di Novara, ad una quota di 964 metri sul livello del mare.
Scorre nel territorio della provincia di Novara per circa 93 Km con una pendenza media dello 0,9% per confluire nel Po, dopo aver percorso altri 50 Km circa in provincia di Pavia, presso Balossa Bigli. Nel percorrere il tratto lombardo, attraverso la Lomellina, riceve l’importante affluente Erbognone. Questo torrente, che nel tratto piemontese prende il nome di Arbogna, ha le proprie origini a sud di Novara. Cede parte delle sue acque alle numerose derivazioni ad uso irriguo lungo il suo corso.
Le opere realizzate per tali derivazioni, costituite da sbarramenti e diramatori di captazione, costituiscono una caratteristica ricorrente nel tratto da Novara alla foce che vanno ad alterare l’originario assetto idraulico dell’alveo e lo suddividono in tronchi.
Una delle conseguenze di tale situazione è quella di veder sostituita alla naturale successione degli habitat una serie di tratti in cui ad una zona di acque veloci subito a valle degli sbarramenti fa seguito, fino allo sbarramento successivo, una zona di acque progressivamente più lente e calme. Questo stato di cose determina la composizione dei substrati che, prevalentemente sabbiosi, si arricchiscono via via di componenti sempre più fini all’approssimarsi degli sbarramenti.
Le rive in questi tratti sono generalmente ripide e spesso ricoperte anche da rigogliosa vegetazione autoctona come i saliceti a Salici bianchi.
L’alveo presenta fondali con scarsa o nulla vegetazione sommersa e la qualità biologica dell’acqua manifesta evidenti gli effetti dell’inquinamento legato alla presenza di scarichi di varia natura presenti lungo il suo percorso con particolare riferimento al capoluogo novarese, agli scarichi di tipo industriale provenienti dall’alta provincia ed agli scarichi legati alle colture agricole.


La formazione della lanca
Fiumi e torrenti, scorrendo verso la foce, modificano costantemente la fisionomia del proprio alveo.
Ciò è determinato prevalentemente dall’azione erosiva esercitata dall’acqua. Essa, infatti, acquistando maggior velocità nel percorrere il lato più lungo di un’ansa, ne erode e dilava l’argine, depositando contemporaneamente i detriti che trascina con sé sul lato più breve ed opposto. Questa azione, prolungata nel tempo, conferisce all’ansa la forma di un ferro di cavallo che racchiude una penisoletta. Le acque poi, magari in seguito ad una piena, divelto il collo dell’ansa, riprendono un cammino diretto e la penisoletta si trova trasformata in isola. Talora, e questa volta in modo molto più rapido, ad intervenire è l’uomo che raddrizza l’alveo nei punti più critici per consentire all’acqua migliore deflusso e proteggere raccolti ed insediamenti abitativi dalle piene. Nell’uno e nell’altro caso, il vecchio alveo abbandonato, che prende il nome di lama o lanca o morto, non scompare rapidamente: per parecchi tempo albergherà acque ferme mentre i depositi del torrente ne chiuderanno rapidamente gli imbocchi. L’evoluzione successiva sarà la trasformazione in stagno ed, in seguito, in acquitrino cui seguirà il lento interramento.
Questo ambiente di passaggio, in continua trasformazione, possiede grande interesse naturalistico.
Quasi mai l’uomo lascia che questa trasformazione avvenga naturalmente ma, molto presto, interviene per stabilire sul vecchio alveo le proprie colture.
Il meandro che piano piano si cancella lascia, quasi sempre, le vestigia della sua precedente esistenza: un accentuato avvallamento, un canale, un fossato.
Le tracce possono anche resistere per secoli: strade ricurve che percorrevano il perimetro del meandro quando era vivo; tratti di confini amministrativi fissati a suo tempo sulla mezzeria del corso d’acqua che si trovano oggi, stranamente tortuosi, a qualche decina o centinaia di metri dall’attuale corso attivo. Queste tracce si fanno più evidenti soprattutto da un punto di osservazione sufficientemente alto come da un piccolo aeroplano: mentre la campagna circostante è suddivisa in quadrilateri più o meno regolari, nell’area prospiciente i corsi d’acqua dominano le linee curve.
I decisi ed assidui interventi dell’uomo, che ha costruito solide arginature non consentono più ormai che instabili alvei divaghino sulle proprie alluvioni e si presentino, magari, con l’ingombro di qualche isolotto boscato a salici ed ontani.
Fiumi e torrenti, sempre più raramente, si ritorcono in ripetuti e tipici meandri la cui ampiezza è proporzionata alla potenza dei singoli corsi d’acqua.
Anche per quanto riguarda l’Agogna, l’uomo ha preso solido possesso dei piani di divagazione che ha ridotto a coltura quasi totalmente e oramai rimangono solo alcune tracce dell' torrente e degli antichi meandri.
Va da sé, quindi, che acquisti notevole importanza la testimonianza di lanche che non hanno ancora subito il destino sopra citato ed anzi si trovano, sufficientemente integre, in quella fase in cui, abbandonato il corso attivo e lasciate a se stesse, si stanno lentamente trasformando, soprattutto ad opera di flora specializzata in luoghi di particolare interesse naturalistico.
E’ questo il caso dell’Agogna Morta.


La lanca, nata da una leggera curva (fig.1), per il processo erosivo sulla sponda concava e di deposito alluvionale su quella opposta, assume forma a ferro di cavallo che racchiude una penisoletta (fig.2).
In seguito l’acqua, in occasione di una piena, divelto lo stretto collo dell’ansa (fig.3), riprende un cammino diretto.
Nel vecchio alveo abbandonato albergheranno acque morte mentre i depositi del fiume ne ostruiranno lentamente gli imbocchi (fig.4).


Il laboratorio di ecologia all’aperto Agogna Morta
L’Agogna Morta, o, meglio, “Il Laboratorio di Ecologia all’aperto Agogna Morta”, è un’area la cui superficie si estende per circa dieci ettari all’interno ed a cornice di un meandro, non più attivo, del torrente Agogna tra le provincie di Novara e Pavia, tra Bassa Novarese e Lomellina, ricadente nei Comuni di Borgolavezzaro (NO) e Nicorvo (PV). Esistono poi altri meandri, nelle immediate vicinanze ma totalmente in territorio lombardo, con le stesse caratteristiche e lo stesso valore naturalistico che meriterebbero altrettanta cura ed attenzione.
Il nostro meandro fu isolato dal corso attivo del torrente, in seguito ad opere di raddrizzamento dell’alveo realizzate intorno alla metà degli anni cinquanta.
Il terreno è leggero, sabbioso-argilloso, di origine alluvionale.
Il Laboratorio di Ecologia all’aperto nasce per volontà di Burchvif che, in stretta collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, nella latitanza delle istituzioni, si attiva per mettere in salvo dal rischio del totale interramento (dovuto ad abusi vari quali lo sversamento di macerie edilizie, ceppaie di alberi, residui agricoli e rifiuti vari), l’ultima grande lanca piemontese del torrente Agogna.
Nell’ambito delle azioni intraprese per la salvaguardia della lanca si inserì, nella seconda metà degli anni ottanta, la presentazione, al Ministero dell’Ambiente, di un progetto di recupero, ricostruzione ambientale e conservazione. Appresa la valutazione positiva da parte del Ministero, le due organizzazioni si attivarono per dargli pratica attuazione. La strategia seguita nasceva dal presupposto che solo acquisendo la proprietà e, quindi, il controllo dei terreni confinanti con la lanca, si sarebbe potuto agire in modo veramente efficace. Sulla base di questa convinzione è stato realizzato dalla Federazione Nazionale Pro Natura il primo e più significativo acquisto: l’area compresa all’interno della lanca, un terreno della superficie di circa quattro ettari. In seguito altri terreni sono stati acquistati o acquisiti da Burchvif: in momenti diversi altri appezzamenti di terreno sono andati a costituire una fascia ripariale che oggi coinvolge quasi tutto il perimetro esterno del meandro. Il bosco planiziale che ora caratterizza l’intera area, un querco-carpineto, è stato ricostruito, a decorrere dal 1991, traendo ispirazione dai boschi esistenti nelle vicinanze: il Bosco di Cusago (MI), il Bosco di Agognate (NO) ed i boschi del Parco del Ticino piemontese e lombardo. La vegetazione arborea è costituita da Farnia (Quercus robur), Carpino bianco (Carpinus betulus), Acero (Acer campestre), Pioppo bianco (Populus alba) mentre, lungo le rive e nelle bassure, vi è la dominanza dell’Ontano nero (Alnus glutinosa) e del Salice bianco (Salix alba). Tra gli arbusti sono stati messi a dimora il Biancospino (Crataegus monogyna) che è la specie più abbondante; seguono, poi, Prugnoli (Prunus spinosa), Sanguinelli (Cornus sanguinea), Noccioli (Corylus avellana) ed in numero minore, Berrette da prete (Euonimus europaeus), Rose canine (Rosa canina), Frangole (Frangula alnus), Palloni di maggio (Viburnum opulus), Sambuchi (Sambucus nigra). Pregevoli alcuni biancospini parassitati dal Vischio (Viscum album).
Nell’ambito degli studi relativi al progetto sono state avviate alcune importanti indagini aventi le finalità di verificare le modalità di affermazione della vegetazione in modo completamente naturale in una serie di parcelle nelle quali non è stato praticato alcun tipo di lavorazione ma sono state lasciate alla libera evoluzione. Sono state, inoltre, verificate le modalità di contenimento e controllo della vegetazione infestante in una serie di altre parcelle gestite mediante diverse operazioni colturali atte a contenerne l’eccessivo sviluppo quali la ripetuta fresatura, lo sfalcio, la pacciamatura o la sfibratura.
Quest’ultima, al termine della sperimentazione, si è dimostrata la tecnica colturale che ha prodotto i migliori risultati.
Anche tra la vegetazione del sottobosco si vanno affermando, dopo ripetuti, difficili tentativi di reintroduzione, l’Anemone dei boschi (Anemone nemorosa), la Pervinca (Vinca minor), il Dente di cane (Erytronium dens canis), la Scilla (Scilla bifolia), il Sigillo di Salomone Polygonatum multiflorum), la Pulmonaria (Pulmonaria officinalis) mentre la Carice brizzolina (Carex brizoides) penetra spontaneamente dalle vicine ripe del corpo idrico.
La vegetazione che caratterizza la lanca vera e propria è costituita dal Nannufaro (Nuphar luteum) ma non mancano bei tratti a Cannuccia di palude (Phragmites australis) così preziosi per il Tarabuso (Botaurus stellaris), il Tarabusino (Ixobrychus minutus) ed il Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus).


La ricostruzione del bosco
Grazie ai preziosi consigli e al supporto del Prof. Francesco Corbetta allora docente di botanica applicata presso l'Università dell'Aquila, lintera area è stata suddivisa in 39 parcelle della superficie di circa 600 metri quadrati ciascuna.
Circa un terzo delle stesse è stata lasciata alla libera evoluzione; qui non è stato praticato alcun tipo di lavorazione tesa a contenere le infestanti ma sono state verificate, attraverso rilevamenti a cadenze fisse, le modalità di affermazione della vegetazione erbacea.

In ognuna delle altre trenta parcelle sono state messe a dimora, a partire dal 1991, le seguenti specie di alberi:
Ognuna di queste presenze arboree è stata circondata, a circa due metri dalla base ed in modo asimmetrico, da una corona di tre arbusti secondo il seguente criterio:
L’esatta collocazione di ogni pianta è stata riportata su fogli di carta millimetrata.
Sia dopo il primo anno di vegetazione (1992), sia dopo il secondo (1993) sono state rimpiazzate le fallanze verificatesi.
In una piccola porzione dell’area erano presenti le ceppaie di pioppi abbattuti dal precedente proprietario. Esse, espressamente lasciate al loro posto, hanno ricacciato vigorosamente dando origine ad una decina di individui che furono lasciati per ombreggiare il giovane bosco sottostante e per contribuire a costituire la strato umico.
Sia la sponda che si affaccia sull’Agogna Morta sia quella che si affaccia sul drizzagno del torrente erano ricoperte da un ceduo di Robinia; in misura molto minore vi erano poi Salici bianchi, qualche Ontano, qualche Farnia.
Nella ricostruzione della vegetazione ripariale si è privilegiato quanto di pregevole già esisteva: le Robinie sono state sfoltite e sono state rimpiazzate da Farnie, Salici bianchi, Ontani neri, Pioppi bianchi, Olmi, Biancospini, Prugnoli, Rose canine, Viburni; il Sambuco nero è cresciuto spontaneamente.
Per favorire la fauna frugivora sono stati messi a dimora in una parte dell' area, alberi da frutto come il Melo (Malus sylvestris), il Pero (Pyrus communis), alcuni ciliegi (Prunus avium, P. mahaleb, P. padus, P. cerasus), Sorbi (Sorbus domestica, S. aucuparia), il Castagno (Castanea sativa), il Noce (Juglans regia), alcuni cachi (Dyospiros lotus, D. virginiana, D. kaki), il Nespolo (Mespilus germanica), il Gelso (Morus alba), il Melo cotogno Cydonia oblonga), l’Azzeruolo (Crataegus azarolus).







I risultati degli studi sull’evoluzione della flora
La sperimentazione, intrapresa a decorrere dal 1991, mirava soprattutto a due obiettivi: I rilevamenti fitosociologici sono stati effettuati secondo la metodologia della scuola geobotanica di Montpellier ideata dal prof. Josias Braun-Blanquet, il “padre” della fitosociologia, ed utilizzando la scala di valutazione da lui originariamente proposta con le modifiche introdotte dal prof. Pignatti.
I rilevamenti sono stati effettuati il 7 luglio 1992, il 17 luglio 1994 ed il 7 luglio 1996. Inizialmente sono stati effettuati anche rilevamenti a fine estate, in settembre, in due annate (1992 e 1993) nella supposizione che la facies autunnale fosse notevolmente diversa da quella estiva ma il presupposto non si è rivelato esatto e, pertanto, tali rilevamenti non sono più stati continuati.
Al termine della sperimentazione si può concludere che, salvo poche o poco significative variazioni annuali o “ingressi” occasionali, la tendenza evolutiva è stata quella del progressivo passaggio da comunità dove prevalevano le erbacee annuali a comunità di erbacee perenni (cespitose o rizomatose) ben più stabili nel tempo.
A puro titolo di esempio si sottolinea il fatto che la vigorosa Artemisia vulgaris, annuale, è stata ben presto e totalmente soppiantata dalla vigorosissima, rizomatosa, perenne, Artemisia verlotorum. Così pure sono sparite quasi totalmente le graminacee annuali a tutto favore, per esempio, delle perennanti Agrostis stolonifera ed Agropyrum repens. Mentre, nel periodo temporale preso in considerazione, non si è verificata la comparsa, prevista come ipotesi di lavoro, del cespuglio pioniere Cornus sanguinea.
Per quanto concerne il secondo punto la risposta agli interrogativi che ci eravamo posti è stata ben presto assai più chiara.
Da escludere, per la sua “antiecologicità”, la tecnica che prevedeva le ripetute fresature del terreno con macchina operatrice. Infatti, così agendo, si ha un continuo ringiovanimento dello strato più superficiale del terreno e la sua evoluzione pedologica è, di fatto, impedita.
La tecnica di pacciamatura con cascami vegetali vari reperiti in loco come la lolla e la paglia di riso, oltre agli stessi sfalci dell’erba, aveva dato, con un efficace contenimento della compagine infestante, un ottimo risultato con la lenta ma graduale umificazione di questa lettiera artificiale sempre più integrata nella lettiera naturale prodotta dagli alberi e dagli arbusti messi a dimora.
Unico inconveniente, ma determinante, la vitalità delle erbacee che si volevano contenere che si è dimostrata così prepotente da riuscire a superare, intorno ai mesi di luglio ed agosto, lo strato pacciamante, dello spessore medio di 25, 30 cm., rendendo vano ogni sforzo di contenimento.
La terza ed ultima forma di sperimentazione preventivata, è cioè la tecnica di inerbimento con una semina di graminacee prative e di Trifoglio Ladino da sottoporre a due, tre sfalci annuali ha dato i risultati più convincenti.
Allo sfalcio si è preferito, in seguito, sostituire l’uso di una sfibratrice che produce un lavoro di migliore qualità ed in tempi più brevi.
Questa tecnica si è dimostrata anche in seguito, con lo sviluppo delle piante, la soluzione migliore. L’avanzata delle fronde ombreggia ora ed in modo sempre maggiore le superfici prative, che divenute polifite, stanno sempre più evolvendo verso forme vicine al sottobosco di tipo nemorale.


S.I.C.: un buon punto di partenza
L’Agogna Morta ha ottenuto, per la parte piemontese, l’ambito riconoscimento di S.I.C.
La definizione Sito di Importanza Comunitaria, abbreviata S.I.C., è usata per definire un’area che contribuisce in modo significativo a mantenere o ripristinare una delle tipologie di habitat definite nell’All. I della Direttiva Comunitaria n. 43 del 21 maggio 1992 o a mantenere in una stato di conservazione soddisfacente una delle specie definite nell’All. II della stessa direttiva oppure è un’area che contribuisce in modo significativo al mantenimento della biodiversità della regione in cui si trova. Questa Direttiva Comunitaria, nota anche come Direttiva Habitat e recepita in Italia nel 1997, prevede i S.I.C. all’interno della costituzione della “Rete Natura 2000”, “una rete ecologica europea di zone speciali di conservazione”.
Secondo quanto stabilito dalla direttiva ogni stato membro dell’Unione Europea deve redigere un elenco di siti nei quali si trovano gli habitat naturali e le specie animali e vegetali che necessita tutelare.
A farle meritare questa definizione è la presenza di specie animali di particolare valore conservazionistico. Basti ricordare quella, (non solo all’interno del Sic, ma anche nelle sue vicinanze che sono caratterizzate dalla massiccia presenza delle risaie), di ben nove specie di ardeidi (Airone cenerino rdea cinerea, Airone rosso Ardea purpurea, Airone bianco maggiore Egretta alba, Airone guardabuoi Bubulcus ibis, Tarabuso Botaurus stellaris, Tarabusino Ixobrychus minutus, Nitticora Nycticorax nycticorax, Garzetta Egretta garzetta, Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides) oppure citare, sempre tra le specie presenti, l’Averla piccola (Lanius collurio) e il Succiacapre (Caprimulgus europaeus) o il Martin pescatore e, tra i lepidotteri, la Licena delle risaie (Lycaena dispar).


La flora
Per quanto riguarda alberi ed arbusti occorre precisare che molte specie sono preesistenti all’avvio del progetto mentre altre, in numero molto maggiore, sono state messe a dimora durante la realizzazione del progetto.
Per quanto riguarda le piante erbacee della bordura interna e dell’acqua, così come per quelle del sottobosco, sono state indicate le più significative sotto l’aspetto ecologico e le più caratterizzanti del luogo.
Si precisa, infine, che alberi ed arbusti non appartenenti alla vegetazione autoctona presenti in elenco, che hanno la caratteristica comune di produrre frutti appetiti da uccelli e mammiferi, sono stati messi a dimora in un punto “staccato” e ben individuato al solo fine di favorire la citata fauna.

GLI ABERI
  • ACERO CAMPESTRE Acer campestre
  • AMARENA Prunus cerasus
  • BAGOLARO Celtis australis
  • CACHI Diospiros lotus, D. Kaki, D. virginiana
  • CARPINO BIANCO Carpinus betulus
  • CASTAGNO Castanea sativa
  • CIAVARDELLO Sorbus torminalis
  • CILIEGIO CANINO Prunus mahaleb
  • CILIEGIO SELVATICO Prunus avium
  • CILIEGIO A GRAPPOLI, PADO Prunus padus
  • FARNIA Quercus robur
  • FRASSINO COMUNE Fraxinus excelsior
  • FRASSINO MERIDIONALE Fraxinus oxyphylla
  • GELSI Morus alba, M. nigra
  • MELO SELVATICO Malus sylvestris
  • NOCE Juglans regia
  • OLMI Ulmus minor, U. sibirica
  • ONTANO NERO Alnus glutinosa
  • ORNIELLO Fraxinus ornus
  • PERO SELVATICO Pyrus pyraster
  • PIOPPO BIANCO Populus alba
  • PIOPPO NERO Populus nigra
  • PIOPPO TREMULO Populus tremula
  • ROBINIA Robinia pseudoacacia
  • SALICE BIANCO Salix alba
  • SORBO DEGLI UCCELLATORI Sorbus aucuparia
  • SORBO DOMESTICO Sorbus aria
  • TIGLIO Tilia platiphillos
GLI ARBUSTI
  • AZZERUOLO Crataegus azarolus
  • BERRETTA DA PRETE Euonymus europaeus
  • BIANCOSPINO Crataegus oxyacantha, C. monogyna
  • CORNIOLO Cornus mas
  • CRESPINO Berberis vulgaris
  • FRANGOLA Frangula alnus
  • LIGUSTRO Ligustrum vulgare
  • MELO COTOGNO Cydonia oblonga
  • NESPOLO Mespilus germanica
  • NOCCIOLO Corylus avellana
  • PALLON DI MAGGIO Viburnum opulus
  • PRUGNOLO Prunus spinosa
  • ROSA SELVATICA Rosa canina, R. gallica, R. arvensis
  • SALICONE Salix caprea
  • SANGUINELLO Cornus sanguinea
  • SPIN CERVINO Rhamnus cathartica
  • SAMBUCO NERO Sambucus nigra
LE PIANTE DELLA BORDURA INTERNA E DELL’ACQUA PIU’ PROFONDA
  • CANNUCCIA DI PALUDE Phragmites australis
  • CARICE DELLE RIPE Carex riparia
  • CERATOFILLO Ceratophyllum demersum
  • GIUNCO COMUNE Juncus effusus
  • GIUNCO FIORITO Butomus umbellatus
  • IRIS GIALLO Iris pseudacorus
  • IRIS SIBERIANO Iris sibirica
  • MAZZASORDA Tipha latifolia
  • MILLEFOGLIE D’ACQUA Miriophillum spicatum
  • NANNUFARO Nuphar luteum
  • SAGITTARIA agittaria sagittifolia
  • SALCERELLA Lytrum salicaria
  • STIANCIA Sparganium erectum
LE ERBACEE DEL SOTTOBOSCO
  • ANEMONE DEI BOSCHI Anemone nemorosa
  • COLOMBINA Corydalis cava
  • DENTE DI CANE Erythronium dens-canis
  • PERVINCA Vinca minor
  • POLMONARIA Pulmonaria officinalis
  • SCILLA A DUE FOGLIE Scilla bifolia
  • SIGILLO DI SALOMONE Polygonatum multi florum, P. odoratum
LE FELCI
  • FELCE FLORIDA Osmunda regalis
  • FELCE MASCHIO Dryopteris filix-mas
  • FELCE FEMMINA Athyrium filix foemina
  • FELCE PALUSTRE Thelypteris palustris
  • FELCE PENNA DI STRUZZO Matteuccia struthiopteris


La fauna

I mammiferi
Le specie di mammiferi la cui presenza è stata accertata all’Agogna Morta sono circa una quindicina ma, assai verosimilmente, ve n’è qualcuna in più. Soprattutto il campo dei micromammiferi roditori (arvicole dei prati e topi selvatici) e dei chirotteri meriterebbe di essere indagato ulteriormente. Manca anche la conferma della probabile presenza della Faina (Martes foina).
L’ultimo arrivato in ordine di tempo, e precisamente nel 1996, è il Silvilago o Minilepre (Sylvilagus floridanus). E’ un leporide di origine americana che, come la Nutria, non fa parte delle nostre zoocenosi naturali. E’ stato introdotto a scopo venatorio ed occupa, almeno parzialmente, e con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in relazione alla sua resistenza ad alcune malattie letali per l’autoctona Lepre (Lepus capensis), la stessa nicchia ecologica. Un aspetto positivo legato alla presenza di questa specie è quello di essere gradito ad alcuni predatori residenti nell’oasi tra cui sono da annoverare la Volpe, il Gufo comune, la Puzzola, il Falco di palude e, presumibilmente, la Faina.


Minilepre (Sylvilagus floridanus) - © Alberto Giè

  
Moscardino in letargo (Muscardinus avellanarius) - © Alberto Giè



Gli uccelli
Gli ambienti presenti nel luogo dove si colloca questa Isola di Natura rappresentano frazioni di territorio naturale frammentati in un mosaico fortemente manomesso dall’uomo. Per questo motivo le aree naturali come quella dell’Agogna Morta risultano essere siti di particolare importanza sia per molte specie nidificanti, scomparse dalla circostante pianura antropizzata, sia per le specie migratrici.
La migrazione, infatti, procede per soste e tragitti e la mancanza di ambienti idonei ad ospitare gli individui di passo può impedir loro di sopravvivere al viaggio decretando la morte dell’individuo ed il rischio di estinzione per la popolazione in transito lungo quelle rotte. La medesima importanza è attribuibile al ruolo di dette zone come luoghi di svernamento che permettono il sostentamento durante i mesi invernali delle popolazioni nidificanti altrove.


Gruccione ( Merops apiaster ) - © Alberto Giè

  
Giovane nitticora ( Nycticorax nycticorax) - © Alberto Giè


Porciglione nel canneto ( Rallus aquaticus) - © Alberto Giè

  
Tarabusino ( Ixobrychus minutus) - © Alberto Giè



Anfibi e rettili
Così come per i mammiferi e gli uccelli e come si farà in seguito per i pesci, anche per anfibi e rettili vengono elencate le specie di cui si è accertata la presenza tramite l’osservazione diretta e le osservazioni pervenute da fonti attendibili.
La fauna erpetologica dell’Agogna Morta è composta da tre specie di anfibi e quattro di rettili. Con tutta probabilità è presente anche l’Orbettino (Anguis fragilis) che, però, è sfuggito sino ad ora all’osservazione.
Merita, poi, di essere menzionata la Testuggine americana (Trachemys scripta) presente anche qui, come in molte zone umide, perché introdotta da chi ha voluto disfarsene dopo qualche tempo di possesso per averla acquistata o vinta, magari piccolissima, in fiere, mercati o negozi. I problemi ecologici che crea sono quelli legati alla competizione con la nostrana Testuggine acquatica (Emys orbicularis), peraltro qui mai osservata, di cui occupa la stessa nicchia ecologica impedendone l’eventuale espansione o contrastandone l’eventuale ritorno.

Pesci
In questo secolo un notevole numero di specie ittiche esotiche è stato introdotto nei corsi d’acqua italiani. Basti ricordare il Pesce gatto (Ictalurus melas) , il Persico trota (Micropterus salmoides), la Trota iridea (Oncorhynchus mykiss), il Carassio (Carassius carassius, C. auratus), il Persico sole (Lepomis gibbosus). Negli ultimi decenni, vi è stata una vera e propria invasione di specie alloctone. Tra queste: il Siluro (Silurus glanis), altre specie di Pesce gatto (Ictalurus punctatus, I. nebulosus, I. gariepinus) il Rutilo (Rutilus rutilus), la Pseudorasbora (Pseudorasbora parva), il Cobite di stagno orientale (Misgurnus anguillicaudatus)…. Alcune di queste specie si trovano anche all’Agogna Morta che, avendole accolte con un ambiente adatto alle loro esigenze ecologiche, gli ha consentito di affermarsi in modo definitivo.
Gli esempi più caratteristici sono quelli del Persico trota, del Persico sole e del Cobite di stagno orientale per citare alcune specie che si riproducono regolarmente e che sono quindi da considerare “acclimatate”. La carpa, poi, è un caso a sé essendo presente nelle acque italiane da secoli, forse introdottavi addirittura in epoca romana.



Carpa comune nella lanca ( Cyprinus carpio ) - © Alberto Giè


Gli insetti

Coleotteri e lepidotteri
Ad una osservazione macroscopica viene generalmente sottovalutata l’importanza della presenza di piccole porzioni di territorio simili a questa: si tratta, però di un indispensabile lembo di territorio strappato alla monocoltura del riso, che può essere l'ultimo baluardo difensivo in particolar modo per gli invertebrati, cioè per quei piccoli organismi, dai protozoi agli insetti, che sono alla base delle catene trofiche e delle catene del detrito.
Questi organismi oltre a far rientrare subito in circolazione nell’ecosistema tutta la sostanza organica prodotta, contribuiscono al mantenimento di popolazioni vitali non solo degli invertebrati stessi ma anche degli altri organismi più vistosi quali anfibi, rettili, uccelli e mammiferi.
Dal punto di vista della biodiversità, riferendoci solamente all’Italia, gli invertebrati sono presenti con oltre 50.000 specie; ai mammiferi ne appartengono 118, agli uccelli meno di 500, ai rettili 58 e gli anfibi solamente 38.
Nella gestione e conservazione ambientale si tende spesso a scegliere tra le poche specie di vertebrati le specie focali su cui intervenire. Questo avviene sia perché le necessità ecologiche dei vertebrati sono meglio conosciute, viste le maggiori dimensioni ed il loro “fascino”, sia perché il maggior impatto di animali carismatici sul grande pubblico fa si che nessuno si opponga, in genere, anche all’uso di fondi pubblici per interventi naturalistici.
In ambiti ristretti come alla scala del SIC dell’Agogna Morta, il riferimento a grandi animali può essere fuorviante in quanto la loro assenza non può essere certamente considerata indice di bassa qualità.
L’analisi deve quindi spostarsi a livelli dimensionali minori coinvolgendo così, invece di singole specie, intere comunità di specie che possono dare anche un maggior numero di informazioni sulla qualità ambientale. Sempre più spesso si tende a fare riferimento alle comunità di alcune famiglie di coleotteri quali i carabidi o i lepidotteri, dalle caratteristiche ecologiche note e presenti spesso, anche in ambiti limitati, con un gran numero di individui appartenenti a decine di specie.


Issoria ( Issoria lathonia ) - © Giambattista Mortarino

  
Vanessa ( Polygonia c-album) - © Giambattista Mortarino



La licena delle risaie
Nella seconda metà di maggio compare nella nostra oasi una delle farfalle più prestigiose; si tratta di Lycaena dispar, la Licena delle risaie.
Questa piccola e stupenda farfalla è specie tipica delle aree umide di pianura.
I maschi hanno ali di un brillante colore rosso aranciato iridescente con bordure marginali nere. Le femmine, più grandi, hanno le parti superiori delle ali anteriori rosse, senza riflessi cangianti e con una serie di macchie nere ed hanno bordure marginali nere più larghe che nei maschi; le parti superiori delle ali posteriori sono nere con una larga fascia arancione submarginale.
La Licena delle risaie è una farfalla a grande rischio di estinzione nell’intera Europa per la scomparsa di aree ed incolti umidi che sono il suo habitat elettivo.
Nel Basso Novarese essa viveva un tempo numerosa perché l’ambiente presentava caratteristiche corrispondenti al suo habitat d’elezione.
In seguito, con l’affermarsi della monocoltura risicola e la trasformazione dei prati polifiti ricchi di piante nutrici del genere Rumex in risaie, è andato scomparendo un aspetto essenziale per il benessere della specie.
Paradossalmente, tuttavia, le stesse risaie con la loro trama di rogge, canali, fossi e colatori ricchi di vegetazione ripariale sono rimasti ambienti favorevole allo sviluppo delle piante nutrici e pertanto, nonostante l’abbandono del loro utilizzo per la produzione di foraggio per il bestiame e con la cessazione di sfalci regolari, Lycaena dispar ha potuto sopravvivere in buon numero.
A tale proposito è interessante segnalare la quantità veramente notevole di individui in volo al Campo del Munton nella seconda metà di maggio del 2006: decine di individui in volo o posati sono stati contati nell’area che l’associazione ha rimboschito a decorrere dal 2003.
Gli alberi e gli arbusti messi a dimora non superavano, in media, i 150/200 cm. e tutta la superficie era coperta da vegetazione erbacea in cui Rumex era presente in grande quantità.
Anche l’ambiente di risaia sta subendo alterazioni notevoli a causa dell’impiego massiccio, talora smodato, di diserbanti e pesticidi. Questi trattamenti agiscono direttamente sia su Rumex che su Lycaena dispar.
L’azione intrapresa da Burchvif di creare ambienti adatti in buona parte delle Isole di Natura mediante la gestione di radure sfalciate in tempi alterni, per consentire ad adulti e larve di avere sempre a disposizione sufficienti fioritura e piante nutrici, crediamo contribuisca a fornire alla specie residui ma sicuri luoghi in cui sopravvivere.



Licena maschio ( Lycaena dispar) - © Giambattista Mortarino

  
Licena femmina ( Lycaena dispar) - © Giambattista Mortarino



I funghi
I funghi assumono anche qui all’Agogna Morta, come nell’ecologia di ogni area boscata, un ruolo di grande importanza.
Con condizioni climatiche favorevoli è possibile osservarvi esemplari appartenenti a tutte e tre le grandi categorie in cui si possono ordinare i funghi superiori in relazione al substrato animale o vegetale di cui si nutrono: dai parassiti che crescono a spese di organismi viventi, ai saprofiti che si nutrono di detriti organici, ai micorizzici che vivono in simbiosi con le piante procurando, con questa convivenza, reciproci benefici.
All' Agogna Morta i protagonisti sono soprattutto funghi saprofiti, rinvenibili nell’area nel maggior numero di specie.
La loro presenza, attraverso la degradazione della lettiera e dei resti legnosi marcescenti, contribuisce alla formazione di prezioso humus e rende un grosso contributo alla rinaturalizzazione dell’ambiente assicurando il ripetersi del ciclo biologico.
Le specie simbionti sono in espansione: gli esemplari che possono essere osservati appartengono prevalentemente ai generi Amanita (A. phalloides, rubescens, pantherina) e Xerocomus ma non mancano il genere Russola con le specie parazurea, pectinatoides, delica, rosea e, da alcuni anni anche Boletus, segnatamente B. chrysentheron, rubellus, pulverulentus e duriusculum. Le specie appartenenti ai citati generi legano la loro presenza non solo ad alcune grandi querce preesistenti all’avvio del progetto, come accaduto per i primi dieci, dodici anni, ma anche alla vegetazione arbustiva ed arborea del giovane impianto.




Come arrivarci

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